Da: Federica, 36 anni, Bologna
Il mio compleanno è il 12 marzo. Quest’anno ho deciso di festeggiarlo due volte perché, diciamolo, a 36 anni una torta sola non basta. La vita è troppo breve per accontentarsi, soprattutto quando la routine ti schiaccia come un mattone. La prima festa è con mio marito Matteo, i suoceri, la cognata, i bambini. È una di quelle serate familiari che ami e odi allo stesso tempo: il caos controllato, le risate forzate, il profumo di torta che riempie la casa.
Torta al cioccolato fatta in casa da mia cognata Anna, che è fissata con Masterchef, ha comprato persino il kit per decorare i dolci su Amazon. Candeline accese, foto di gruppo scattate con il telefono di Matteo che ha la fotocamera sempre sporca, i bambini che urlano “tanti auguri” con la bocca piena di panna e cioccolato, lasciando macchie sul tappeto del soggiorno.
Matteo è ingegnere meccanico, lavora in un’azienda di automazione industriale vicino a Casalecchio di Reno, uno di quei capannoni grigi con il parcheggio sempre pieno di furgoni Fiat. Torna a casa ogni sera alle 19:30 in punto, con la borsa da lavoro piena di schemi e il caffè della macchinetta che gli lascia l’alito amaro.
Ma per il mio compleanno si è preso il giorno libero, ha persino pulito la cucina prima che arrivassero gli ospiti. I suoceri, Giovanni e Maria, arrivano alle 18 in punto, come sempre, con il loro Fiat Punto del 2005 che parcheggiano storto sul marciapiede. Portano il dolce di pasticceria da “Pasticceria Rossi” in via Saragozza, un capolavoro di sfoglie e crema pasticcera, e il regalo incartato con la carta a fiori che mia suocera compra sempre in stock al mercato.
Anna, la cognata, ha passato il pomeriggio in cucina: tre strati di pan di Spagna imbevuti di sciroppo di maraschino, crema chantilly montata a mano con le fragole fresche del mercato di via Ugo Bassi, decorazione perfetta con codette colorate e una scritta in glassa “Buon compleanno sorella!” scritta con mano tremolante perché ha bevuto troppo prosecco mentre impastava.
I bambini, Leonardo di 7 anni e Sofia di 5, hanno preparato i regali con i pennarelli lavabili: “Tanti auguri mamma” scritto storto ma con il cuore, un disegno di me con una corona da regina e un cuore gigante. Leonardo ha aggiunto un dinosauro che mangia la torta, Sofia ha colorato tutto di rosa shocking.
La serata scorre tra chiacchiere sul tempo, sulle notizie dal telegiornale – “Avete visto quel politico che ha tradito la moglie? Che scandalo!” dice mio suocero ridendo – e i bambini che corrono intorno al tavolo con i palloncini scoppiati a metà. Matteo mi guarda con quel sorriso stanco ma affettuoso, mi stringe la mano sotto il tavolo, e per un momento mi sento al sicuro, al caldo, in un nido che ho costruito mattone dopo mattone. Ma sotto sotto, c’è quel prurito, quel desiderio di qualcosa di più, di un brivido che non viene dai compleanni familiari.
La seconda festa è con Davide, il mio commercialista di Modena. Separato da un anno dopo un matrimonio di dieci, ha un figlio di 9 anni che vede solo nei weekend, un maschio vivace che gioca a calcio e colleziona figurine dei calciatori. L’ho conosciuto su Incontri Extraconiugali Italia a gennaio, durante una di quelle serate di pioggia battente che ti tengono inchiodata al divano con una tazza di tè e lo smartphone in mano.
La chat è iniziata con un “Ciao, anch’io odio la pioggia”, poi telefonate serali sussurrate in bagno per non svegliare i bambini, poi il primo incontro a metà strada, a Castelfranco Emilia, in un bar con i tavolini di legno massiccio e il cameriere che sembra uscito da un film di Ozpetek, con i baffi curati e un sorriso complice. Abbiamo parlato per ore, di libri, di viaggi mai fatti, di sogni rimandati.
Per il compleanno prenotiamo un B&B vicino al Santuario di San Luca, uno di quelli nascosti nelle colline bolognesi, con le travi a vista nel soffitto, il camino spento ma pronto per l’autunno, il letto king size con le lenzuola bianche che profumano di lavanda fresca e un balconcino che guarda sulle luci della città.
Ho passato il pomeriggio a prepararmi: pedicure dal parrucchiere in via Zamboni, unghie rosse fuoco, depilazione completa che mi ha lasciato la pelle liscia come seta, e shopping compulsivo in centro. Compro le mutande rosse da Intimissimi in Galleria Cavour, quelle con il pizzo trasparente che costano 29 euro e mi fanno sentire una dea greca, e un vestitino nero aderente preso in saldo da Zara, che non metto da anni perché dopo Sofia ho preso qualche chilo sui fianchi. Mi guardo allo specchio e penso: “Sì, ce la posso fare”.
La serata inizia con un aperitivo sul balcone, prosecco ghiacciato in flûte di cristallo, olive ascolane e formaggio di fossa. Davide arriva con un mazzo di rose rosse, non troppe da non sembrare esagerato, e un regalo avvolto in carta argentata. Parliamo di tutto: del suo ex che non capiva il suo bisogno di libertà, della mia routine che mi soffoca come una coperta troppo pesante, di come un affair possa essere come una boccata d’aria fresca in una stanza chiusa.
Ceniamo con una pasta fatta in casa dal proprietario del B&B, tagliatelle al ragù che sa di casa ma con un tocco di spezie esotiche, e un vino rosso della zona che ci scalda lo stomaco e scioglie la lingua.
Errore fatale: indosso lo stesso braccialetto d’argento a entrambe le cene. È un braccialetto rigido, di quelli che si aprono con una molla invisibile, largo abbastanza da non stringere ma elegante, con una scritta incisa dentro: “Per sempre”. L’ho comprato io a Natale da un gioielliere in via Indipendenza, uno di quei negozietti con la vetrina piena di anelli di fidanzamento e orologi ticchettanti, ma non l’ho mai usato perché mi sembrava troppo romantico per la vita di tutti i giorni.
Davide me lo mette al polso la seconda sera, con la luce spenta della camera, dopo il terzo bicchiere di prosecco, e dice “per sempre con te, almeno in questi momenti rubati”. Io rido, penso sia una battuta da film, ma lui è serio, i suoi occhi brillano alla luce della candela sul comodino. Lo tengo addosso tutta la notte, sentendo il metallo freddo contro la pelle calda.
La mattina dopo, torno a casa con i capelli scompigliati e il trucco sbavato, ma con un sorriso che non riesco a cancellare. Matteo mi fa colazione a letto, un gesto raro come l’Halley che passa ogni 76 anni. Cornetto caldo dalla forno in via del Pratello, cappuccino con la schiuma a forma di cuore fatta apposta con il frullino, succo d’arancia spremuto fresco dalle arance biologiche del mercato.
Mi guarda con tenerezza: “Buon compleanno, amore. Bello il braccialetto nuovo, te l’ho regalato io?”. Io, con la bocca piena di cornetto e le briciole sul lenzuolo: “No, me lo sono comprata da sola al mercato coperto, sai, quello vicino al Quadrilatero”. Lui prende il mio polso, lo gira piano: “Strano, c’è scritto ‘Per sempre’ dentro. Non è da te, queste cose sdolcinate”.
Panico puro. Il cuore mi batte come un tamburo, il caffè mi va di traverso. Era il regalo di Davide, non mio. Balbetto qualcosa, cerco di sviare: “Ah sì? Deve essere un errore del venditore, magari era un modello espositivo”. Ma lui insiste, curioso come un gatto. Ho detto che era un regalo di compleanno anticipato dalla mia capa, Luisella, una tipa stravagante che porta sciarpe colorate anche d’estate e ha una collezione di orecchini etnici che sembrano presi in un suk.
Luisella è la responsabile amministrativa del mio ufficio, ha 52 anni, odia i regali perché “sono catene”, porta sempre lo stesso cardigan beige infeltrito e le scarpe basse ortopediche. Ora Matteo vuole conoscerla, ha chiesto il numero alla segretaria dell’ufficio, una ragazza di 25 anni che si chiama Giulia, con i capelli tinti di blu e un piercing al naso, e che pensa che io sia lesbica perché passo troppo tempo a chiacchierare con le colleghe.
Intanto Davide mi manda messaggi su WhatsApp, con i cuoricini e le emoji: “Quando lo rimetti? Mi manca vedertelo al polso, è come un nostro segreto inciso nella pelle”. Io non so più quale polso usare, destro o sinistro, come se fossi una spia in un romanzo di John le Carré. Passo i giorni successivi a navigare su Amazon, cercando braccialetti identici, confrontando foto, leggendo recensioni: “Arrivato graffiato”, “Taglia sbagliata”, “Incisione illeggibile”. Alla fine ne ordino uno, pago extra per l’incisione personalizzata “Per sempre (con te)”, e lo faccio spedire in un punto di ritiro anonimo per non rischiare pacchi sospetti a casa.
Lo regalo a Matteo per il nostro anniversario di matrimonio, che è il 15 giugno, durante una cena al Ristorante Donatello con vista sulle Due Torri. Lui lo indossa orgoglioso, dice che è il simbolo del nostro amore eterno.
Ora ne ho due identici, uno per polso, e cambio a seconda di chi vedo: quello di Davide per le serate rubate, quello di Matteo per le cene familiari. Ma la paranoia non finisce. Luisella pensa che io sia diventata pazza perché le ho chiesto un caffè al bar sotto l’ufficio “per parlare di regali”. Le ho detto che volevo ringraziarla per il braccialetto, e lei mi ha guardato come se le avessi chiesto di ballare la tarantella in pubblico, con gli occhi sgranati e un “Ma che dici, cara? Io non ti ho regalato niente”. La segretaria Giulia ha iniziato a chiamarmi “la misteriosa” in ufficio, con un sorrisetto, e una volta mi ha chiesto se avessi un’amante segreta.
I bambini hanno trovato il braccialetto di scorta nel cassetto del comò, quello che tengo per le emergenze, e pensano che sia un gioco magico. Leonardo, il maggiore, lo usa per legare i suoi Lego in catene indistruttibili, Sofia lo mette al polso della sua bambola Barbie e finge che sia una principessa con un anello fatato. Matteo è felice, lo indossa ogni giorno al lavoro, dice ai colleghi che è il regalo della moglie che lo ama alla follia. Davide è felice, mi manda foto del suo polso nudo, chiedendo quando ci rivediamo per “riempirlo di nuovo”.
E io? Io rido, ma dentro sudo freddo ogni volta che vedo un braccialetto luccicare. Ho imparato che i regali sono trappole, catene invisibili che legano i momenti belli a quelli complicati. Morale della favola: mai riciclare gioielli in un doppio compleanno. E mai fidarsi di Amazon per le incisioni personalizzate, perché il secondo braccialetto è arrivato con “Per sempre (con te)” scritto al contrario, come un presagio beffardo del caos che ho creato. Ora lo tengo come talismano, nascosto in fondo al cassetto, pronto per la prossima avventura.





